Mi sono immersa nel libro Librandi – Storie di uomini, vigneti e vini di Gianfranco Manfredi con l’introduzione di Cesare Pillon e in due giorni l’ho sorseggiato come si fa con un calice che tira l’altro per arrivare alla fine, appassionandomi pagina dopo pagina di fronte alla narrazione della storia dei Librandi, che non è solo il percorso di un’impresa, ma è il racconto intrecciato della viticoltura e l’enologia della Calabria.
La penna di Gianfranco
Manfredi, noto giornalista enogastronomico e sommelier della Calabria, nelle 169 pagine in italiano
(vi e’ anche una versione in inglese) racconta la storia della Cantina Librandi
di Cirò che nei 100 anni si e’ sviluppata, radicata ed evoluta in Italia e nel
mondo attraverso le loro etichette.
Ne ripercorre le vicende
di una famiglia di viticoltori quando nel 1916 i fratelli Nicodemo e Raffaele acquisiscono
con un contratto di affitto una vigna di un ettaro e mezzo e nel 1929 Raffaele,
a soli 23 anni, aggiungendo a piccoli passi altra superficie e le quote di
altri familiari, acquista la casa paterna che adibisce a cantina e nel ’53
comincia a imbottigliare “un vino popolare, semplice e a buon mercato”.
Comincia così a farsi notare tanto che nel 1958
riceve 50.000 lire in Premio dal
Ministero per l’Agricoltura e Foreste come quarto classificato quale “piccola
azienda agricola “. Da questo momento, negli anni ’60, saranno i figli Tonino e
Nicodemo Librandi, che avvieranno un processo di crescita che ci porta fino ai
nostri giorni affermando un marchio aziendale divenuto identitario del Cirò e
del vino della Calabria.
E’ una narrazione
appassionata di fratelli le cui idee si sono trasformate in azioni all’unisono
e che nei rispettivi ruoli delineano una normale famiglia della Calabria tenace, attaccata alla vigna, laboriosa,
lungimirante e con i piedi per terra che
traccia un percorso con una progressione lineare senza conoscere intoppi,
cadute e battute d’arresto.
Difficoltà, certo che ne hanno
incontrato e di ogni genere, in un contesto in cui tecniche agronomiche ed
enologiche, la ricerca scientifica e i servizi all’agricoltura sono ancorati a
empirismo e la pubblica amministrazione e’ sorda e miope o d’intralcio anche ai
progetti più semplici.
Pregiudizi e critiche
pure e anche tante, quando negli ’90 dopo l’affermazione del vino Duca S.
Felice, il Gaglioppo riserva che aveva ricevuto il largo consenso degli intenditori
(premio Duja d’or, medaglia oro a
Basilea e oro a Verona), si punta dare ai vini un’interpretazione internazionale lanciando vitigni come lo Chardonnay
o il Cabernet Sauvignon che entrano nel bianco Critone e nel rosso Gravello e
questo nuovo ingresso viene interpretato
come esterofilia dissacrante ed eretica in un contesto regionale fossilizzato
al passato.
Entrambe le etichette faranno
fortuna in tutti i mercati ed apprezzati da tutti i palati dei wine lovers italiani
ed esteri. C’è un verbo che si e’ tramandato nel DNA familiare, crescere e crescere,
con saggezza e con i piedi per terra, ma anche investire e selezionare.
Selezionare persone,
collaboratori, consulenti e vitigni. Lo saranno gli enologi Severino Garofolo
negli anni ‘70-‘80 e Donato Lanati a seguire fino ai nostri giorni, che
interpretano e si ritrovano con la filosofia e la visione dei fratelli Librandi
che vede la terra, le vigne e le risorse umane come centralità della produzione
del vino.
Questi saranno illuminanti
e determinanti per raggiungere i più prestigiosi traguardi con i vini: Duca S.
Felice, Gravello, Magno Megonio, Critone, Efeso, Passule, Terre Lontane, Labella,
Asilya e per ultimi gli spumanti Almaneti e Rosaneti. Enologi che fanno il paio
con agronomi che conoscono la terra, le piante, le pendenze, l’insolazione e le
necessità delle vigne, nome, cognome e forme dei grappoli.
Sono Davide De Sanctis,
profondo conoscitore delle vigne e poi gli accademici protagonisti della
ricerca agronomica Attilio Scienza, Mario Fregoni, Anna Schneider, Franco Mannino,
Maria Stella Grando, Diego Tommasi, il meglio della ricerca scientifica italiana
che su diversi fronti hanno inciso nella storia dei Librandi.
Una squadra salda, sempre
presente e mai variata, nella quale Enzo Mazzei, Salvatore Certomà e Donato
Abenante garantiscono la quadratura dell’amministrazione dell’impresa.
C’è un valore da
sottolineare in questa memorabile Storia di uomini vigneti e d’impresa ma con indiscutibili ricadute sulla viticoltura della Calabria ed e’ l’operazione culturale di cui si sono fatti
interpreti per aver salvato, raccolto e custodito una collezione dei vitigni della Calabria, unica
nel suo genere e frutto di un lungo e faticoso lavoro di ricognizione sui
territori, che rappresenta l’Arca delle varietà antiche a rischio di estinzione
e che ha dato l’avvio alla ricerca scientifica sull’identificazione
genetica e sulla selezione di cloni da cui è scaturita l’iscrizione
nel Registro Nazionale e a seguire la
moltiplicazione nei vivai.
Un lavoro immane,
supplendo il ruolo pubblico, che ha consentito di creare una letteratura
viticola facendo emergere la Calabria con il suo ricco serbatoio di vitigni
sconosciuti e il suo preservato patrimonio genetico.
La diffusione delle prove
e dei risultati e’ assicurata nelle pubblicazioni “Gagliopoo e i suoi
fratelli”, “Valorizzazione con metodi moderni di un’antica vocazione viticola” “I
vignaioli del Cirò” ma anche attraverso il Patto Librandi, un protocollo di
lavoro diretto a 40 viticoltori associati, allo scopo di svecchiare metodi di
coltivazione arcaici e tradizionali e diffondere le acquisizioni di un nuovo
modello di viticoltura di precisione.
Senza dimenticare che in
queste storie di uomini nel silenzio si affiancano le donne di casa Librandi,
Enza e Concetta, donne di vino che hanno condiviso e supportato l’impresa
apportandone sensibilità femminile e assicurando il culto della famiglia.
Gianfranco Manfredi, ne
ha tracciato la storia antica e moderna dei Librandi (230 ettari vitati, 2,5
milioni di bottiglie, 50% export in 40 Paesi), oggi affidata a Paolo, Raffaele,
Teresa e Francesco, sotto la guida del professore Nicodemo, a buon diritto nominato
Ambasciatore delle Città del vino, che e’ “la sintesi di amore e dedizione per
la terra e per i vigneti, cultura enologica e scienza, conciliate ogni giorno
tra i filari e la cantina e un antico coraggio nel guardare lontano”.
Saveria Sesto